«Certo che ti farò del male. Certo che me ne farai.
Certo che ce ne faremo. Ma questa è la condizione
stessa dell’esistenza. Farsi primavera, significa accettare
il rischio dell’inverno. Farsi presenza, significa
accettare il rischio dell’assenza…»
(Antoine de Saint-Exupery)
Perché si sceglie di stare in coppia? Questo quesito sembra riproporsi oggi più che mai, sia nelle menti dei più giovani così come in coloro che in passato hanno già scelto di stare insieme. Indubbiamente dall’epoca vittoriana ad oggi le motivazioni che giustificano una riposta a questa fondamentale domanda, sono profondamente diverse. In passato sposarsi e creare un nucleo familiare sembrava essere l’unica possibilità per un riconoscimento “positivo” da parte della società. L’amore non era un’esperienza personale che potesse risolversi nel matrimonio, al contrario era una “convenienza” spesso contrattata non dagli interessati ma da terzi, sulla base di possibilità di innalzamento sociale, dove, ed era opinione condivisa, la passione e il sentimento sarebbero seguiti successivamente. Oggi le possibilità di scelta sono molteplici. Sono emerse soprattutto nell’ultimo trentennio nuove modalità relazionali attraverso le quali sono stati resi possibili nuovi scenari ricchi di creatività che hanno modificato (e continuano a trasformare) lo “stare insieme”. Oggi si sceglie di stare insieme per amore. L’occidente vive oggi più che mai l’amore romantico, quest’ultimo ha preso largo spazio nella vita quotidiana attraverso una lunga serie (sembra quasi infinita) di film e canzoni d’amore, in cui uomini e donne, godono e soffrono per questo tanto desiderato e poco compreso amore. Fromm descrive gli errori che si fanno in amore, uno dei più diffusi è la «[…] convinzione che non vi sia nulla da imparare in materia d’amore, è la confusione tra l’esperienza iniziale d’innamorarsi e lo stato permanente di essere innamorati.»[1]
Ma in cosa ci cambia questo amore donato, e perché no, ricevuto? L’amore, è condiviso da molti autori, sostiene l’essere in quelle paure esistenziali che denotano la vita. A. Lowen in “Paura di vivere” descrive come la paura di vivere sia intensamente radicata nella paura della morte e viceversa. «Possiamo spiegare queste paure da un punto di vista piscologico: aprendo il proprio cuore all’amore, si diventa vulnerabili alle ferite; scoprendosi, ci si espone al rifiuto; facendosi valere, si rischia di essere distrutti.»[2] Grazie a un’ottica relazionale questa paura ontologica può essere rivista grazie al potere che l’Altro, diverso da me, esercita nella nostra vita; riprendendo il concetto di traità vedremo la novitas che la GT ha immesso nel campo: una fobia dell’autonomia, il timore di non poter farcela da soli, il sentirsi piccoli senza l’altro sono strettamente legati alla paura di vita, mentre la paura dell’appartenenza, spaventa l’uomo minacciando la sua unicità; la propria autonomia e indipendenza sono connesse alla paura della morte.[3] Emerge dalla post-modernità un’autentica “fobia dello svelare” dove il mostrarsi provoca terrore, terrore in vista di una perdita della propria libertà e della propria autonomia, che rende impossibile una piena espressione di se stessi. Nuovi bisogni in concomitanza ad una sempre più veloce società rendono complesso il costituirsi di relazioni stabili e durature; «Pensare di dovere gestire il rapporto con l’altro e nello stesso tempo lasciare spazio ai propri bisogni, essere autosufficienti e sentire il bisogno del sostegno dell’altro diventa una scommessa quotidiana.»[4] La GT dona un nuovo sguardo, dalla matrice relazionale, alla coppia, la quale è fulcro di intima espressione che tocca con pienezza. La relazione si esplicita nella sua temporalità, attraverso la quale grazie al “tempo vissuto insieme” nasce l’intimità più profonda. La GT ridisegna nuovi significati alla crisi di coppia, la quale diventa momento di crescita e di rinnovamento. La stasi porta con sè un’atrofizzazione affettiva, sia dei corpi che della relazione. E` una tappa fondamentale per un’evoluzione sana della coppia passare da una confluenza fisiologica, che nasce dall’innamoramento, dove i “no” vengono elusi, dove i conflitti sono del tutto assenti, dove ogni bisogno viene soddisfatto con piacere, ad un’altrettanto fisiologica crisi, che se superata porta ad una riscelta piena e consapevole.
Nella prima fase di confluenza (o simbiosi) sopradescritta ritroviamo la passione dell’innamoramento, o come direbbe Erasmo da Rotterdam, quella follia tipica degli innamorati: «In primo luogo osservate con quanta previdenza la natura, madre e artefice del genere umano, ebbe cura di spargere dappertutto un pizzico di follia. Se, infatti, secondo la definizione stoica, la saggezza consiste solo nel farsi guidare dalla ragione, mentre, al contrario, la follia consiste nel farsi trascinare dalle passioni […] Relegò inoltre la ragione in un angolino della testa lasciando il resto del corpo ai turbamenti delle passioni. Quindi, alla sola ragione contrappose due specie di violentissimi tiranni: l’ira, che occupa la rocca del petto e il cuore stesso che è la fonte della vita, e la concupiscenza che estende il suo dominio fino al basso ventre.»[5] E` stupefacente come l’autore già nel XVI secolo abbia dato un’impronta corporea e relazionale anche alla follia, chiave di lettura questa che entrerà nel mondo clinico/letterario solo 400 anni dopo la sua pubblicazione.
Se si supera questa fase di “innamoramento” per attraversare una sana e fisiologica “delusione” potremmo riscegliere con pienezza e con un nuovo entusiasmo il nostro partner. Naturalmente in queste fasi qualcosa può andare storto con il risultato della fine della relazione. Giocano un ruolo chiave le aspettative che ognuno riporta nell’altro, quest’ultime in un primo momento vengono totalmente soddisfatte e si ha “l’illusione” che andrà sempre così. Quando l’illusione svanisce, svanisce con essa anche l’interesse e un torpore affettivo sembra avvolgere la coppia. Nella dissoluzione della coppia emerge un vissuto di fallimento personale, da parte di uno solo, per non essere stato in grado di mantenere la relazione, o per non essere “abbastanza” per l’altro con una conseguente autosvalutazione. G.G. Marquez, maestro dell’amore magico e dell’amore patito ci avverte del pericolo dell’amore: «Proverai la tremenda ansia di non essere abbastanza. L’amore ci rende fragili»[6]. G. Salonia rammenta come: «Anche se suona paradossale, un rapporto di coppia necessita delle delusioni tanto quanto della soddisfazione delle aspettative.»[7]
Per comprendere l’intero processo occorre porre l’attenzione sullo sfondo relazionale della coppia, nonché sulla storia familiare. La GT vede la coppia come un unico sé, in cui stare con l’altro con pienezza non vuol dire solamente essere se stessi ma mostrarsi nella propria totalità senza paura che la propria fragilità possa essere bersaglio dell’altro. Erich Fromm ci illumina attraverso l’arte di amare, esprimendo con chiare parole quella tanto desiderata pienezza nell’amore: «Se posso dire a una persona “ti amo”, devo essere in grado di dire “amo tutti in te, amo il mondo attraverso te, amo in te anche me stesso”.»[8] Nella visione Gestaltica troviamo che la storia familiare è interamente composta da un corollario di esperienze corporee e relazionali, e dalla mancanza di quest’ultime, le quali danno vita spesso a bisogni insaziabili, che stentano nel diventare desideri. Queste esperienze mancate troveranno un’apparente risoluzione nella relazione con l’altro; l’organismo grazie ad un processo di autoregolazione cerca nella relazione la possibilità di integrarle, e di trovare dunque l’integrità o, se questa è già stata raggiunta autonomamente, la pienezza. Cercare nell’altro ciò che non è stato dato, ciò che è mancato nella propria vita, sembra essere un riflesso incondizionato, spontaneo in chi ha con sé grandi ferite che ad oggi dolgono. Il corpo, e Zarathustra già lo afferma, possiede quella saggezza che non dimentica[9]. Il corpo, secondo la GT è colui che sceglie perché non dimentica ciò che non ha avuto, è l’esperienza che cerca di completarsi.[10] Se la relazione si mantiene sul “tu mi dai quello di cui io ho bisogno, perché senza di te non ne sarei capace” la relazione sarà asimmetrica, non paritaria, uno dei membri sarà il richiedente (il più bisognoso) mentre l’altro sarà l’eroe, colui che è in grado di curare il dolore dell’altro. «In verità oggi ne avevo proprio bisogno; come hai fatto a saperlo? Con quanta naturalezza viene da te ciò che è necessario, sempre.»[11] In questo particolare tipo di relazione non si può crescere, si rimane piccoli, poiché l’integrità viene data ma non acquisita, con il terribile incubo che senza l’altro si possa ripiombare nel baratro della mancanza e del vuoto. Naturalmente anche il salvatore cercherà nell’altro ciò che possa colmare le proprie mancanze, nonché probabilmente un bisogno di essere forte, accudente ecc. In questa fase si può osservare come spesso vi sia un bilanciamento, seppur rigido, tra le polarità che caratterizzano la coppia, mostrando un apparente ma stabile rapporto (lui forte/lei debole; lei materna/lui bambino).[12] La coppia vista nella sua complessità non è scindibile in due elementi distinti con comportamenti separati, ma è un tutto. Ad esempio una donna che si lamenta che nella propria relazione non viene vista, e poco considerata, non sarà solo dovuta all’incapacità dell’altro di vederla, ma anche dalla sua propria incapacità di farsi vedere. Si rimanda alla relazione la responsabilità, anziché al singolo operato di uno dei due membri. Questo particolare tipo di coppia mira all’integrità: “io mi sento completo solo grazie a te, senza di te sento che posso andare in pezzi”. In questa relazione asimmetrica, è possibile notare come il pericolo della dipendenza sia sulla soglia; spesso non vi sono particolari conflitti, poiché ognuno ha bisogno dell’altro. Saranno allora i figli che attraverso il loro dolore, e attraverso le loro difficoltà, poiché non hanno dei genitori integri, espliciteranno il dolore familiare. Un’ulteriore possibilità di crisi viene data quando uno dei due membri inizia a cambiare (cresce); tale novità minaccia l’altro, spaventandolo di una possibile rottura dell’equilibrio (precario) creato. La GT centra il focus sul cambiamento come possibilità di rigenerazione della coppia, come una danza che prepara i corpi ad un contatto pieno e autentico.
«E poi fate l’amore.
Niente sesso, solo amore.
E con questo intendo i baci lenti sulla bocca,
sul collo, sulla pancia, sulla schiena,
i morsi sulle labbra, le mani intrecciate,
e occhi dentro occhi.
Intendo abbracci talmente stretti
da diventare una cosa sola,
corpi incastrati e anime in collisione,
carezze sui graffi, vestiti tolti insieme alle paure,
baci sulle debolezze,
sui segni di una vita
che fino a quel momento era stata un po’ sbagliata.
Intendo dita sui corpi, creare costellazioni,
inalare profumi, cuori che battono insieme,
respiri che viaggiano allo stesso ritmo,
e poi sorrisi,
sinceri dopo un po’ che non lo erano più.
Ecco, fate l’amore e non vergognatevene,
perché l’amore è arte, e voi i capolavori.»[33]
(Alda Merini, Italia, 1931-2009, E poi fate l’amore )